Antonio Agostani (Savona 1897 – ivi 1977)
Nato nel quartiere della vecchia darsena del porto, dedica la sua esistenza alla pittura, con una vocazione istintiva.
Per un trentennio interviene a mostre personali o collettive in compagnia dei maggiori artisti del’900 ligure, espone alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma del ’39, a Firenze, Napoli, Bergamo e Genova. Il catalogo offre un’immagine completa della sua produzione artistica, dipinti, e disegni, dagli anni ’20 alla metà degli anni ’70 del Novecento. Artista tra i più amati nel contesto non solo ligure, Agostani si allontana da ogni genere di classificazione preconcetta. La vita non facile gli instilla un carattere schivo ed introverso, poco incline al clamore del grande pubblico o della ribalta prestigiosa. Preferisce arrivare al cuore – attraverso percorsi impossibili e tortuosi – di chi veramente lo comprende e che sa giudicare con semplicità. Il successo o l’insuccesso sono particolari trascurabili, né incide sul lavoro la ricerca del denaro. La dignità dell’artista è il bene più prezioso difeso a costo di incomprensione, emarginazione e solitudine; egli è libero da imposizioni accademiche, dalle scuole in auge o dai modi dei colleghi, che osserva, talora apprezza, ma non condivide. L’umana sofferenza si rivela mediante l’utilizzo dei colori cupi e magri, in tonalità spente in cui il nero emerge incontrastato. I soggetti sono personaggi pensosi o spesso sospesi tra la vita e la morte, con la fame e la malattia che ne disegnano il viso ed il corpo, essenziali nella loro definizione plastica. Gli scheletri danzanti, i vecchi spiritati, le donne spettrali, sembrano giocare con la morte in una sorta di incantesimo scaramantico. L’umorismo, mischiato e stemperato dal cinismo, si rivela raramente, ma è costantemente sottinteso. Anche le scene di paesaggio si adeguano al sentire interiore: il pittore privilegia l’autunno o l’inverno, con colori caldi e spenti ed il bianco sporco, delle sue nevicate, che rende la tavolozza armonica e tragica al contempo. Il tratto è deciso ed il soggetto è centrale, allineato alla visione dello spettatore e rappresentato senza inganno. I personaggi appaiono come se fossero distaccati: guardano ma non vedono. Lo sfondo è monocromo con tonalità che vanno dal grigio, al nero, al marrone ed i personaggi si stagliano appena, con porzioni di ocra, verdi, viola, grigi, neri e bianchi. L’esito finale è prorompente: non è il totale dei particolari ma assume un significato diverso, più alto, che dialoga con la nostra mente e che accende suggestioni impensabili. Può piacere o non piacere, ma il suo messaggio, esplicito o criptico, fa inevitabilmente riflettere.
Antonio Agostani partecipa nel 1947 alla associazione “ La Goletta” con Renata Cuneo, Lino Berzoini, Raffaele Collina, Giovanni Battista De Salvo – direttore responsabile della pubblicazione – Mario Gambetta ed Ivos Pacetti.